Commento al libro di Jean Knox “Archetipo, attaccamento, analisi. La psicologia Junghiana e la mente emergente”. Nella seconda parte della giornata Ida Cappelli Porena ha presentato un caso clinico con l’intervento di Marina Corradi.
Jean Knox ha presentato la relazione “Sesso, vergogna e funzione trascendente” (PDF) cui è seguita una partecipata discussione sui temi trattati, moderata e tradotta da Caterina Vezzoli (CIPA di Milano).
Nella seconda parte dell’incontro Nadia Fina ha presentato un caso clinico commentato e supervisionato da J. Knox.
C.Codignola ha presentato per la discussione la relazione tenuta all’VIII Seminario Residenziale dell’A.I.P.A. (1-4 novembre 2007, Villa Cappugi, Pistoia), dal titolo “Adolescenti in Psicoterapia Analitica” (PDF).
G.Filippi: caso clinico sul tema della colpa e della vergogna.
V.M.De Marinis: “Amore,desiderio e distruttività: riflessioni su un caso clinico di perversione”. Discussant – F.Fera
Sintesi degli interventi
(a cura di M.Brunetti)
Gisella Filippi ha esposto, attraverso degli spunti clinici alcune riflessioni su colpa e vergogna.Il senso di colpa in analisi riguarda qualcosa che non è stato agito, un nulla di fatto. E’ un’ombra interna che accusa e punisce inducendo ad un comportamento riparativo. Rifacendosi ad alcuni temi della teoria intersoggettiva viene sottolineato come il bambino che riceve in modo ricorrente risposte di cattiva sintonizzazione da parte dei caregivers, costruisca la convinzione che le proprie emozioni e aspirazioni evolutive siano manifestazioni di un personale difetto o cattiveria. Egli può arrivare pertanto ad instaurare un Sé ideale purificato da questi aspetti per mantenere non solo un legame con gli agenti della cura ma anche con la propria autostima.
Il senso di colpa in questo contesto si configura come una modalità difensiva per sfuggire alla realtà penosa o terrifica della propria condizione di vita. Infatti, citando Fairbairn :“E’ meglio essere un peccatore in un mondo guidato da Dio che vivere in un mondo guidato dal Diavolo”, G.Filippi osserva che l’assunzione di una colpa per cose non commesse, permette di vivere in un mondo doloroso ma aperto alla speranza dall’idea della riparazione. Mentre invece la consapevolezza di vissuti relazionali minacciosi e distruttivi porterebbe a vivere in un mondo di morte immutabile in quanto dipendente da altri. Con il senso di colpa però non viene affrontato il vero problema: l’assunzione di responsabilità non della “riparazione” di un peccato presunto, ma della “cicatrice” e del dolore che comporta l’accettazione della propria condizione e quindi l’evoluzione verso uno stadio ulteriore della vita attraverso la separazione dai vecchi schemi.
Ciò significa perdere l’immagine ideale di se stessi ed affrontare l’inadeguatezza confrontandosi con le proprie ferite narcisistiche, attraverso un vissuto di indegnità e quindi di “vergogna”.
V.M. De Marinis, attraverso la presentazione di un caso clinico, ha introdotto per la discussione il tema delle “perversioni”, preferendo l’uso di questo termine a quello più recente di “parafilie” che, a suo avviso, riduce troppo l’alone semantico comprendente il male, la distruttività al posto dell’amore, tipico di questo quadro di personalità.
Dal modello psicoanalitico classico, che vede alla base della perversione la centralità del desiderio rispetto alla formazione delle regole, la ricerca psicodinamica si è andata spostando sulla relazione tra la personalità perversa e l’altro. In particolare su un difetto dello sviluppo che determina una specifica inadeguatezza nel sentire l’altro, il quale di conseguenza cessa di funzionare come limite e confine del proprio desiderio. Il perverso è dominato da una fantasia di onnipotenza che cerca di sostituire il sentire, la passività con il fare, con l’azione. Il piacere quindi risiede non nell’usare il partner o la vittima come oggetto, ma nel farlo passare dalla condizione di soggetto a quella di oggetto. L’attivazione della scena perversa diventa la risposta ad un riemergente vissuto traumatico (abbandono, perdita, terrore ecc) nel tentativo di dominarlo attraverso l’altro, uscendo momentaneamente ed illusoriamente dalla passività. Inoltre l’eccitazione provata nell’attuarsi della fantasia perversa, può essere l’unico modo che permette al soggetto di sentirsi dentro un corpo esistente, vivo”.
F. Fera ha ripreso il tema dell’incontro precedente e, presentando un caso clinico seguito in due periodi a distanza di anni, ha descritto il delicato rapporto all’interno del trattamento tra l’uso delle teorie di riferimento (in particolare Kohut, Mitchell, Fonagy) e l’emersione di un vissuto empatico generatore del cambiamento. Il vivace dibattito apertosi al termine si è sviluppato proprio sul ruolo dei due aspetti evidenziati nella relazione, il loro rapporto temporale, le rispettive funzioni e interazioni.
La Dr.ssa Zoppi – psicologa analista AIPA- ha presentato il metodo elaborato da W.Bucci per l’analisi dei processi psicosomatici nel quadro della Teoria del Codice Multiplo (TCM). Attraverso una complessa tecnica di misurazione dell’efficacia dell’espressione verbale, vengono misurati degli indicatori che permettono di valutare gli effetti che la comunicazione verbale può avere sulla salute mentale e fisica.
Concetto centrale di questa teoria è quello di “Attività Referenziale (A/R)”, cioè dei modi in cui diverse parti della mente funzionano, più o meno collegate tra loro con riferimenti reciproci. Il processo psichico è la risultante del funzionamento “in parallelo” di tre distinti sistemi di immagazzinamento ed elaborazione delle informazioni, codificate nelle modalità: NS/NV (non-simbolica/non-verbale); S/NV (simbolica/non-verbale); S/N (simbolica/verbale). La patologia è vista come conseguenza della disconnessione tra gli elementi di uno schema e/o della dissociazione tra sistemi di elaborazione delle informazioni che determinano l’interruzione dell'”attività referenziale”.
G.Caputo ha presentato un complesso caso clinico, anche attraverso i vissuti del terapeuta, che il Dr. Corrente ha utilizzato come spunto per l’esposizione di alcuni concetti bioniani, come quello di funzione alfa. Una funzione che ha inizio nel primissimo rapporto madre-figlio, in cui la madre attraverso un processo di rêverie, elaborandole, trasforma le proiezioni del bambino in una forma moderata dal pensiero e dall’affetto.
Nel gruppo la funzione alfa prende il nome di gamma. Qui si attivano spontaneamente automatismi gruppali che il singolo riprende, elaborandoli ad es. attraverso i sogni, producendo così trasformazioni in sé stesso. Riferimenti interessanti sono emersi riguardo alla funzione beta, agli assunti di base ed al mito, letto come attività elaborativa del gruppo culturale che lo produce.
Daniela Fois ha presentato per la discussione una breve sintesi del pensiero di M. Fordham partendo dall’esigenza dell’autore di costruire una teoria dello sviluppo infantile su cui basare la pratica psicoterapeutica dell’infanzia. Per Fordham il bambino è un individuo fin dall’inizio. In contrasto con il pensiero di Jung su questo tema, egli nega l’indifferenziazione del bambino rispetto all’inconscio genitoriale, formulando l’idea dell’esistenza di un Sé primario, presente fin dall’inizio della vita, preesistente alla coscienza e quindi alla strutturazione della psiche in elementi consci ed inconsci, esso è un’unità psicosomatica che contiene tutte le disposizioni archetipiche, compresa quella per lo sviluppo dell’Io. Il bambino entra in rapporto con il mondo attraverso l’alternanza di fasi di integrazione – in cui il Sé è stabile e chiuso in se stesso come nel sonno o nell’ appagamento – deintegrazione – in cui il Sé interagisce col mondo esterno attraverso i suoi deintegrati : gli archetipi – e reintegrazione – in cui gli elementi precedenti vengono reintegrati nel Sé arricchiti dall’ esperienza. Nel bambino, che inizialmente è separato dalla madre, avviene una fusione secondaria in cui il Sé entra in rapporto con l’altro come oggetto-Sé. L’oggetto che non corrisponde all’aspettativa archetipica non viene riconosciuto dal Sé. Fordham formula anche un’ipotesi eziopatogenetica sull’ autismo per la quale l’aspetto principale è quello della persistenza di un Sé primario che non può deintegrare e formare l’oggetto-sé a causa di un fallimento materno nel soddisfare le aspettative archetipiche del bambino e quindi non si sviluppano attività simbolica e mondo interiore.