Cecilia Codignola ha descritto come Ogden affermi di avere riscoperto la psicoanalisi e ci inviti a farlo, attraverso tre esperienze: il ricrearla mentre si parla con ciascun paziente in ciascuna seduta, ovvero imparando a parlare come sognare, mentre si fa esperienza di insegnamento o supervisione, aiutando il supervisionato a sognare quegli aspetti dell’esperienza con il proprio paziente che non è stato in grado di sognare e infine nell’ atto di leggere e scrivere testi analitici o letterari. Parlare come sognare col paziente, significa fare un lavoro psicologico con la propria esperienza emotiva vissuta , passata e presente, parlare in modo autentico e genuino, semplice e chiaro, libero da cliché, da gergo , da toni di voce terapeutici o sapienti, cessando di fare interpretazioni o offrire altre forme di interventi analitici, significa essere analista rinunciando ad essere l’analista che già sapeva come doveva essere.
Fiorella Fiera ha presentato ” Conversazione ai confini del sogno” (2001) di Thomas Ogden, testo nel quale l’autore cerca di dar voce, attraverso la concezione di reverie e terzo analitico, al complesso intreccio tra soggettività e matrice intersoggettiva, tra spazio privato del sè e reciproca presenza emotiva. La reverie è uno stato alterato di coscienza dall’analista sentito come perturbante, non intenzionale, fatto di divagazioni mentali, fantasie, ricordi, vissuti corporei, noia, stati affettivi apparentemente incongrui rispetto al contesto. Da tale stato al confine tra conscio ed inconscio, si generano una catena associativa ed un nuovo assetto affettivo che imprimono vitalità ed autenticità all’ interazione. L’ autore inquadra, teoricamente, il proprio punto di vista a partire dalla concezione bioniana di identificazione proiettiva come evento relazionale. Tuttavia, mentre Bion auspicava ” un analista senza memoria e senza desiderio” , Ogden ritiene che , nel contesto terapeutico, si costituisca un nuovo soggetto analitico, il terzo analitico, che è contemporaneamente espressione delle due individualità, del loro reciproco inconscio influenzamento e della relazione che si è stabilita nel tempo. All’ interno di una tale esperienza, talvolta, l’analista viene sorpreso dall’immediatezza di una sua risposta, esplicita o implicita ( ” interventi non pianificati” ). La riflessione psicologica del terapeuta, ,partire dal riconoscimento degli stati affettivi intersoggettivamente creati, consente, successivamente, di far luce sui contenuti psichici dissociati, tanto in se stesso, che nel paziente.
Massimo Giannoni ha letto alcuni passi di “La psicoanalisi relazionale nella prospettiva junghiana”, capitolo del libro “La svolta relazionale in Italia” che sarà edito tra breve da Cortina ed.
Maria Anna ROSSI e Stefano CECCHINI hanno presentato una sintesi dei principali concetti del libro di P.M.BROMBERG, come la dissociabilità della mente, l’uso di questa proprietà a fini difensivi contro l’angoscia e il processo di reintegro dele parti dissociate anche attraverso i sogni, concepiti non come testi da decifrare ma come mezzi per entrare in contatto con la normale varietà degli stati del Sé.
Riprendendo il commento al libro di Bromberg, A.FIRETTO e M.BRUNETTI hanno presentato due brevi vignette cliniche a margine del dibattito sul concetto di Enactment e della centralità data dall’autore alla consapevolezza, costruita insieme e condivisa da paziente e analista, attraverso l’esplorazione dei reciproci stati dissociati del Sé impegnati nel confronto analitico.
Fiorella FERA ha introdotto la lettura e un breve commento propedeutico de Libro rosso di Jung pubblicato di recente da Bollati Boringhieri.
“Gli anni più importanti della mia vita furono quelli in cui inseguivo le mie immagini interiori. In quegli anni si decise tutto ciò che era essenziale; tutto cominciò allora. I dettagli posteriori sono solo completamenti e chiarificazioni del materiale che scaturì dall’inconscio. Mi ci sono voluti praticamente quarantacinque anni per distillare nell’alambicco del mio lavoro scientifico le cose che sperimentai e annotai allora. Da giovane, la mia meta era di fare qualcosa nella mia scienza. Ma poi fui travolto da questo torrente di lava, e il suo fuoco dette nuova forma e nuovo ordine alla mia vita. Quelle prime fantasie e quei sogni furono per me come magma fuso da cui si cristallizzò la pietra che potei scolpire”. C.G.JUNG 1961
D.Fois ha riassunto i temi principali del libro in cui gli autori, partendo dallo sviluppo del concetto di confine in psicoanalisi, passano al cruciale tema dei confini entro cui si dovrebbe muovere l’analista, trattando le violazioni, sessuali e non, di questi confini. L’argomento viene affrontato a diversi livelli: attraverso una rassegna storica e teorica, l’analisi psicodinamica, i problemi etici, i provvedimenti disciplinari e “riabilitativi” in relazione alle violazioni dei confini anche con il contributo del materiale clinico tratto dall’analisi di oltre 70 analisti che avevano avuto rapporti sessuali con i pazienti.
La teoria interpersonale della psicoanalisi ha avuto il suo fondatore nella figura di Harry Stack Sullivan, uno psichiatra americano vissuto tra la fine dell’ottocento e l’inizio del novecento (Chenango Country, 1892 – Parigi, 1949). Nel corso degli anni venti ha sviluppato un intenso lavoro interdisciplinare, in particolare con l’antropologo Edward Sapir e con gli esponenti del primo movimento dell’interazionismo simbolico, quali G.H. Mead, C.H.Cooley, W.I. Thomas ed altri. Sul piano strettamente psichiatrico il suo principale ispiratore fu Adolf Meyer, mentre apprezzava il pensiero psicoanalitico di S. Freud, cominciandone, però, ad intravederne già in quegli anni i limiti scientifici ed operativi.
Proiezione dell’ intervista a C. G. JUNG realizzata da John FREEMAN nel 1959 nell’ambito del programma ” face to face” che la BBC dedicò ai personaggi più significativi del secolo scorso.